Reverse charge e omessa presentazione della dichiarazione IVA

L’art. 5 d.lgs. n.74/2000 punisce con la reclusione da due a cinque anni «chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro cinquantamila». 

Ai sensi del secondo comma della norma in esame, «non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto»: scopo di quest’ultima disposizione è, evidentemente, quello di incoraggiare il cd. ravvedimento operoso del contribuente, nonché di escludere l’integrazione del reato ogniqualvolta vengano in considerazione vizi della dichiarazione che, essendo meramente formali, devono ritenersi concretamente inoffensivi.

Nonostante l’utilizzo del pronome «chiunque», la norma incriminatrice designa un reato proprio, dal momento che il delitto in parola può essere commesso unicamente dai soggetti obbligati a presentare le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Con riferimento all’elemento soggettivo, è richiesto il dolo specifico: l’omessa presentazione della dichiarazione, infatti, dev’essere finalizzata a evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Limitando l’analisi a quest’ultima imposta, v’è da rilevare come, secondo la disciplina generale dettata dall’art. 17, c. 1, d.P.R. n. 633/1972, i soggetti tenuti a versarla siano i cessionari di beni e i prestatori di servizi imponibili, i quali sono altresì tenuti a provvedere all’esposizione dell’imposta nelle fatture emesse.

Tale disciplina generale subisce una deroga nei casi in cui risultino integrati i presupposti per il ricorso al cd. regime di reverse charge (o inversione contabile). Trattasi di un meccanismo, previsto dall’art. 17, c. 5 e ss., d.P.R. n. 633/1972, in forza del quale, per talune tipologie di operazioni, gli obblighi relativi al versamento dell’IVA gravano in capo al soggetto che ha ricevuto la prestazione e non in capo a colui che l’ha eseguita. Qualora, dunque, ricorrano i presupposti per l’applicazione del regime di reverse charge, il cedente/prestatore emetterà fattura senza esposizione dell’IVA e spetterà al cessionario/beneficiario integrare tale fattura mediante l’esposizione dell’imposta e registrarla sia nel registro IVA acquisti sia nel registro IVA vendite, così da elidere l’effetto dell’integrazione in sede di liquidazione mensile dell’imposta dovuta.

Il regime di reverse charge è stato introdotto in Italia nel 2000 come strumento di contrasto alle frodi fiscali in alcuni settori (p. es. quello dell’edilizia) in cui le stesse sono statisticamente più diffuse. In assenza di tale meccanismo, infatti, il cedente/prestatore dovrebbe emettere fattura con IVA; il cessionario/beneficiario dovrebbe versare l’importo dell’IVA al primo, il quale, a propria volta, dovrebbe versarla allo Stato; all’esito di tale concatenazione di passaggi, l’acquirente può portare in detrazione la somma corrisposta. Un simile meccanismo comporta il rischio che il fornitore non versi l’imposta e che, ciononostante, l’acquirente la porti in detrazione. Al fine di evitare tale esito, certamente pregiudizievole per l’Erario, si è introdotto il regime di reverse charge, in forza di cui entrambe le operazioni (ossia versamento dell’imposta allo Stato e successiva detrazione) sono effettuate dall’acquirente.

Per meglio comprendere il funzionamento del meccanismo in parola, può essere utile ricorrere a un esempio pratico.

Si pensi alla società Alfa che stipula un contratto di appalto per l’installazione, presso gli immobili dei committenti, di impianti per la refrigerazione e la ventilazione: tale attività non viene svolta direttamente dalla società Alfa, dal momento che quest’ultima stipula un contratto di subappalto con la società Beta, che materialmente provvede all’installazione.

Ai sensi dell’art. 17, c. 6, d.P.R. n. 633/1972, lo svolgimento di simili prestazioni giustifica il ricorso al regime di reverse charge: la lett. a-ter) di tale norma, infatti, espressamente menziona le «prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici».

Nell’esempio fatto, pertanto, la società Beta (subappaltatrice) è legittimata a non esporre l’IVA nelle fatture emesse nei confronti della società Alfa (subcommittente): se, poi, tali prestazioni esauriscono il novero delle attività svolte dalla società Beta, questa non sarà tenuta a presentare la dichiarazione IVA, proprio perché il meccanismo di reverse charge la esonera dagli obblighi relativi al versamento di tale imposta, obblighi che – come si è detto – gravano in capo al beneficiario della prestazione e, dunque, alla società Alfa.

Ne consegue pertanto che, in un caso siffatto, il legale rappresentante della società Beta non potrà rispondere del delitto di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000: tale norma, infatti, punisce unicamente i soggetti che, essendovi obbligati, non presentano la dichiarazione IVA. Si è visto che, in forza dell’inversione contabile, tale obbligo si sposta dalla società Beta alla società Alfa, con conseguente esclusione del legale rappresentante della prima dal novero dei soggetti attivi del reato in esame.

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