La sostituzione del giudice penale nella fase dibattimentale

Talvolta può accadere che, nel corso di un processo penale, il Giudice che ha condotto il procedimento fino a quel momento, assumendo ed esaminando le prove, venga sostituito da un diverso magistrato. È evidente che detto mutamento non comporta l’interruzione del processo, né la sua estinzione; semplicemente il ruolo viene assunto da altro Giudice, che condurrà il processo avanti a sé e giungerà poi ad una sentenza. 

Tuttavia, tale sostituzione potrebbe creare non pochi problemi, soprattutto alla luce del principio di immutabilità del giudice compendiato nell’art. 525 comma 2 Codice di Procedura Penale, secondo cui “alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. […]”. 

La ratio di tale disposizione risiede nella necessità di preservare il rapporto diretto tra il Giudice e la formazione della prova, permettendo così che colui che è chiamato a giudicare colga altresì i connotati espressivi anche non verbali di coloro che abbiano reso la testimonianza, certamente determinanti per la valutazione inerente la credibilità del testimone e l’attendibilità delle sue dichiarazioni. 

Sul punto si è più volte espressa la Suprema Corte di Cassazione che ha tuttavia dimostrato di declinare il predetto principio secondo canoni di minor rigore, chiarendo che “in caso di intervenuta modifica della composizione del collegio, il giudice del dibattimento è obbligato a disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso nuova assunzione delle prove acquisite dal precedente collegio ovvero disponendo la lettura dei relativi verbali, anche tramite indicazione degli atti utilizzabili ai fini della decisione, sicché in assenza di tali attività la sentenza emessa dal mutato collegio è affetta da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio”. (cfr. Cass. Sent. 41932/2017).

Sulla medesima scorta finanche una recente pronuncia della Corte Costituzionale che ha evidenziato come il diritto alla nuova audizione di testi, in caso di sostituzione del giudice, non sia assoluto, bensì modulabile, entro limiti di ragionevolezza, dal legislatore (Corte Cost. 20 maggio 2019 n. 132). 

Ebbene, proprio in questo delicato contesto si colloca la sentenza n. 41736/2019, con cui la Corte di Cassazione a Sezioni Unite prende posizione circa il delicato tema delle regole da osservare qualora si renda necessaria una corretta rinnovazione del dibattimento nel caso di mutamento nella composizione del giudice nel corso del processo penale. 

In primis, la Suprema Corte chiarisce che il nuovo giudice deve provvedere alla nuova assunzione dei mezzi di prova esclusivamente dietro espressa e specifica istanza avanzata dalla parte che ne ha interesse, ed in mancanza dovrà ritenere implicitamente congruo ai fini del decidere – tramite l’applicazione dell’istituto della lettura di cui all’articolo 511 c.p.p. – il verbale delle dichiarazioni precedentemente rese.

In secondo luogo, qualora la parte avanzi richiesta di rinnovazione dell’esame del testimone, il nuovo Giudice dovrà valutare l’eventuale superfluità o irrilevanza della reiterazione dei mezzi istruttori, e conseguentemente decidere se ammetterla o meno. 

La Corte precisa che la nuova escussione del dichiarante potrà dunque essere disposta dal giudice solo se non manifestamente superflua o irrilevante secondo quanto previsto dall’articolo 190 c.p.p. A titolo esemplificativo, potrebbe risultare irrilevante e superflua la pedissequa reiterazione dell’esame già svolto, cioè la deposizione sulle medesime circostanze oggetto del primo esame, nonché nel caso di reiterata escussione di un teste che nel corso del precedente esame abbia dimostrato di non ricordare l’andamento dei fatti. 

L’articolo 511 c.p.p. stabilisce che “la lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della parte che le ha rese a meno che l’esame non abbia luogo”, e, secondo quanto appena riportato, l’esame non ha luogo anche qualora il nuovo giudice rigetti l’istanza di rinnovazione per superfluità dell’incombente richiesto. 

In tal caso i verbali di dichiarazioni rese da testimoni dinnanzi ad un diverso giudice potranno essere utilizzati ai fini della decisione previa lettura ex art. 511 c.p.p. laddove non venga disposta la rinnovazione del mezzo di prova perché non richiesta dalle parti, non ammessa in quanto ritenuta superflua o non più possibile.

Eppure, detta interpretazione potrebbe lasciare qualche dubbio, posto che l’audizione di un testimone avanti un differente giudice spesso non può essere considerata una pedissequa reiterazione di quanto già in precedenza ascoltato, appreso e dichiarato, poiché le espressioni non verbali e i gesti  che accompagnano la dichiarazione ben possono assumere rilevanza nella formazione del convincimento del giudice chiamato a decidere e a valutare la credibilità del testimone e l’attendibilità di quanto dichiarato.

Probabilmente, nelle intenzioni della Suprema Corte, tale obiezione – che peraltro fonda la ratio dell’articolo 525 comma 2 c.p.p. cede il passo alla considerazione che la dilatazione dei tempi processuali determinata dalla necessità di procedere ad una nuova audizione dei testimoni crea difficoltà sia in termini di ragionevole durata del processo che di efficace amministrazione della giustizia penale; motivo per cui sono state introdotte queste deroghe alla regola dell’identità tra il giudice avanti al quale si forma la prova ed il giudice che emette la sentenza. 

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