La bancarotta documentale fraudolenta e quella semplice: criteri distintivi

La bancarotta documentale è un delitto, previsto e punito dagli artt. 216 e 217 l. fall., che consiste nell’omessa o irregolare tenuta della contabilità da parte di un imprenditore dichiarato fallito o, in forza dell’estensione soggettiva di cui all’art. 223 l. fall., da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite.

Trattasi di un reato che può concretamente manifestarsi in diverse forme, a cui corrispondono trattamenti sanzionatori eterogenei.

La principale distinzione è certamente quella tra la forma fraudolenta (art. 216 l. fall.) e la forma semplice (art. 217 l. fall.).

La prima ricorre quando l’agente sottrae, distrugge o falsifica la contabilità allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori (cd. bancarotta fraudolenta documentale specifica), nonché quando la contabilità è tenuta in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (cd. bancarotta fraudolenta documentale generica): tali condotte sono punite con la reclusione da tre a dieci anni.

La forma semplice, invece, ricorre quando l’agente, nei tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento o dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto o ha tenuto in maniera irregolare o incompleta i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge: è in tal caso prevista la pena della reclusione da sei mesi a due anni.

La principale differenza tra la forma fraudolenta e quella semplice si fonda sull’elemento soggettivo che sorregge le condotte che si sono appena descritte: tuttavia, sarebbe errato affermare sbrigativamente che la bancarotta fraudolenta è di tipo doloso e che quella semplice è di tipo colposo, dal momento che tale rigida dicotomia non trova conferma nel dato normativo.

È certamente vero che la bancarotta documentale fraudolenta ha carattere doloso. La prima forma, che si è sopra denominata specifica, deve infatti essere sorretta dal dolo specifico, nel senso che la condotta dell’agente dev’essere preordinata a conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri o ad arrecare pregiudizio ai creditori; anche la seconda forma, che si è sopra denominata generica, dev’essere sorretta dal dolo, di cui è sufficiente la forma generica.

È precisamente quest’ultima ipotesi di bancarotta che spesso non è facilmente distinguibile dalla forma semplice. Quest’ultima, infatti, può essere non solo colposa e dunque coincidere con una negligente trascuratezza nella tenuta della contabilità, ma può essere anche dolosa e dunque coincidere con omissioni, irregolarità o incompletezze contabili del tutto volontarie.

È pertanto necessario distinguere tale forma dolosa di bancarotta documentale semplice dalla bancarotta documentale fraudolenta generica, anche alla luce delle pregnanti ricadute che questo comporta in punto di trattamento sanzionatorio. 

Un primo criterio distintivo viene fornito direttamente dalla legge: l’art. 216 l. fall., infatti, afferma che, ai fini dell’integrazione della fattispecie fraudolenta, è necessario che la contabilità sia stata tenuta in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Come detto, questo non deve necessariamente essere lo scopo perseguito dall’agente, essendo sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza e la volontà che la propria condotta è concretamente idonea ad ostacolare la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Se, dunque, il dolo dell’agente abbraccia tale elemento, si rientra nella più grave fattispecie di cui all’art. 216 l. fall.

Se, invece, l’agente ha volontariamente trascurato di tenere regolarmente la contabilità, ma lo ha fatto senza por mente alle conseguenze della propria condotta, quest’ultima, benché certamente dolosa, integrerà il meno grave delitto di bancarotta documentale semplice.

Un simile criterio distintivo, per quanto possa essere di facile comprensione sul piano teorico, non è sempre agevolmente applicabile sul piano pratico, potendo in concreto essere arduo accertare e stabilire quali elementi siano stati abbracciati dal dolo dell’agente.

Conscia di tali difficoltà, la giurisprudenza più recente ha iniziato a elaborare i cd. indici di fraudolenza: trattasi di circostanze di fatto, ulteriori rispetto a quelle menzionate dalle norme incriminatrici, che possono essere ritenute sintomatiche della consapevolezza dell’agente di arrecare pregiudizio, con la propria condotta, alle ragioni del ceto creditorio.

Uno dei principali indici di fraudolenza che la giurisprudenza tende a valorizzare consiste nell’avvenuta o mancata integrazione di fattispecie di bancarotta patrimoniale (ossia di occultamento o distrazione di beni che sarebbero stati altrimenti aggredibili dai creditori). È stato pertanto statuito che, se l’imputato viene assolto dal delitto di bancarotta patrimoniale o se questo non gli è stato nemmeno contestato ab origine, ciò impedisce di ricorrere alla presunzione per cui le irregolarità contabili sono di regola funzionali a dissimulare condotte distrattive: tali irregolarità, pertanto, saranno con ogni probabilità ricondotte nel campo di applicazione dell’art. 217 l. fall. Al contrario, la ritenuta integrazione della fattispecie di bancarotta patrimoniale “colora” di spessore la motivazione concernente la sussistenza degli indici di fraudolenza delle irregolarità contabili, così giustificandone l’inquadramento nell’ambito dell’art. 216 l. fall.

Un ulteriore indice di fraudolenza è rappresentato dall’avvenuto compimento, da parte dell’amministratore di una società fallita, di condotte contrarie ai doveri gestori che non emergono dalla contabilità: in tali casi, si ritiene che le irregolarità contabili siano funzionali a dissimulare le condotte antidoverose, con conseguente integrazione della fattispecie di bancarotta documentale fraudolenta.

Infine, è spesso ritenuta sintomatica del carattere fraudolento della condotta la stretta contestualità temporale tra il manifestarsi dell’insolvenza e l’omessa o irregolare tenuta della contabilità: se, dunque, risulta che l’imputato ha tenuto diligentemente le scritture contabili finché l’impresa era in bonis e ha cessato di farlo solo a fronte dell’accumulo di debiti consistenti e della sottrazione di beni strumentali e rimanenze, ciò induce a ritenere integrato l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta documentale fraudolenta.

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