Il reato di riciclaggio – Le condotte previste dalla norma incriminatrice

 La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.

Nell’ordinamento italiano il reato di riciclaggio è previsto e punito dall’articolo 648 bis Codice Penale, secondo cui “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto; ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.”

Pare interessante, in questa sede, soffermarsi sulle diverse condotte che possono integrare il predetto reato.

La norma incriminatrice indica, prima fra tutte, la condotta di colui che “sostituisce” denaro, beni o altre utilità; ebbene, la sostituzione presuppone una precedente ricezione del bene proveniente dal delitto presupposto, seguita da un suo “rimpiazzamento” (come scrive il Professor Ferrando Mantovani nel suo Manuale di Diritto Penale, parte Speciale) con altro bene “pulito” o comunque non direttamente riconducibile al delitto presupposto.

Se guardiamo alla casistica gli esempi sono numerosi: dal classico cambio materiale di banconote rubate con altre di medesimo valore, di diverso o di uguale taglio, al versamento di denaro proveniente da delitto su un conto corrente bancario seguito poi dal prelievo delle medesime somme. 

La seconda condotta, alternativa alla prima, è quella di colui che “trasferisce” il denaro, il bene o altra utilità proveniente da delitto; in questo caso il bene di provenienza illecita viene fatto sostanzialmente migrare nella sfera giuridica altrui attraverso strumenti negoziali di varia natura, perlopiù leciti. Si pensi ad esempio al caso di un bene che venga venduto ad un terzo in modo tale da mutarne l’intestazione.

Terza ed ultima condotta quella inerente il compimento di “altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa” dei beni di provenienza illecita. 

Sotto quest’ultimo profilo, con questa sorta di condotta di chiusura, è possibile apprezzare la ratio stessa del reato di riciclaggio, vale a dire quella di punire quelle condotte – anche non riconducibili ad operazioni di sostituzione o di trasferimento in senso stretto – capaci di ostacolare, di impedire o di rendere difficile l’individuazione dell’origine criminosa del bene, del denaro di altra utilità proveniente da delitto.

Si pensi, a titolo esemplificativo, al recente caso deciso con sentenza Cassazione penale, sez. II, 11/02/2022, n. 9533, in cui la Suprema Corte ha chiarito che integra il reato di riciclaggio la condotta di chi, impossessatosi di un cane di provenienza furtiva, sostituisce il microchip che lo identifica, essendo tale operazione idonea ad ostacolare l’accertamento dell’origine delittuosa dell’animale; oppure ai frequentissimi casi di modifica del numero di telaio di automobili rubate, piuttosto che ai casi di apposizione sulle stesse di targhe false, oppure alla fusione di gioielli preziosi oggetto di furto per ottenerne oro o altro metallo colato.

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