Somministrazione illecita e fraudolenta di manodopera

La somministrazione di manodopera, un tempo tassativamente vietata, è oggi disciplinata dal d.lgs. 276/2003, che la consente purché siano rispettati stringenti requisiti volti a evitare che la stessa costituisca un mezzo per aggirare norme inderogabili poste a tutela del lavoratore.

Trattasi del contratto in forza del quale una parte (il somministratore) si obbliga, a titolo oneroso, a fornire a un’altra (l’utilizzatore) prestazioni di lavoro rese da soggetti che non hanno stipulato con l’utilizzatore un contratto di lavoro subordinato. Tale fattispecie consta pertanto di due distinti rapporti: quello di somministrazione, intercorrente tra somministratore e utilizzatore, e quello di lavoro, intercorrente tra il somministratore e il lavoratore.

Come anticipato, il legislatore subordina il ricorso al suddetto meccanismo a stringenti requisiti, il primo e più importante dei quali è la previa autorizzazione del somministratore e la sua iscrizione in un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 

In mancanza di tale requisito, si configura il reato contravvenzionale di intermediazione illecita di manodopera, che l’art. 18 d.lgs. 276/2003 punisce con l’ammenda di €.50,00 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro: questa pena si applica tanto al somministratore quanto all’utilizzatore, in forza dell’estensione operata dal secondo comma della norma in esame.

Il reato in parola era stato depenalizzato nel 2016, ma è stato successivamente reintrodotto a far data dal 1/1/19: pertanto, solo le condotte commesse successivamente a tale data sono esposte all’applicazione delle predette sanzioni penali, mentre le condotte commesse anteriormente sono sottoposte a una sanzione amministrativa pecuniaria di ammontare pari all’ammenda di cui si è detto.

Come si è visto, punite ai sensi dell’art. 18 d.lgs. 276/2003 sono unicamente le condotte di somministrazione (e correlativa utilizzazione) commesse in assenza della previa autorizzazione del somministratore e della sua iscrizione nell’apposito albo ministeriale. Un’ulteriore fattispecie di reato, prevista dall’art. 38-bis d.lgs. 81/2015, può invece trovare applicazione anche qualora tali requisiti ricorrano, se, in concreto, risulta che l’attività di somministrazione di lavoro è stata posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate ai lavoratori: è in tali casi prevista la pena (eventualmente cumulabile con quella di cui al predetto art. 18 d.lgs. 276/2003) dell’ammenda di €.20,00 per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione: anche in questo caso, tanto il somministratore quanto l’utilizzatore sono esposti alla medesima sanzione penale. 

Il reato di somministrazione fraudolenta è stato introdotto a far data dal 12/8/18: pertanto, solo le condotte realizzate posteriormente a tale data rientrano nel campo di applicazione della suddetta norma incriminatrice. 

Al pari di quello precedentemente analizzato, trattasi di un reato di pericolo, per la cui configurazione non è dunque necessario che la condotta abbia cagionato un danno in capo al lavoratore: è sufficiente che l’accordo di somministrazione sia per lui potenzialmente dannoso. 

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo (che consente di distinguere la somministrazione fraudolenta da quella illecita), la norma incriminatrice richiede il dolo specifico: è pertanto necessario il cd. consilium fraudis tra somministratore e utilizzatore, nel senso che l’accordo di somministrazione dev’essere finalisticamente orientato ad aggirare norme inderogabili di legge o di contratto collettivo favorevoli al lavoratore. A titolo meramente esemplificativo, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la circolare n. 3/2019, ha affermato che tra le norme inderogabili la cui elusione rappresenta indice di fraudolenza vanno annoverate quelle che determinano gli imponibili contributivi, quelle che stabiliscono divieti di somministrazione di lavoro, quelle che prevedono requisiti specifici o limiti per il ricorso alla medesima.

Con la stessa circolare sono state enucleate alcune circostanze da ritenersi sintomatiche della finalità elusiva di cui si è detto. In particolare, è stato affermato che il ricorso a un appalto illecito consente di ritenere integrati gli estremi del reato in esame, dal momento che tale condotta consente allo pseudo-committente di conseguire effettivi risparmi sul costo del lavoro derivanti dall’applicazione del trattamento retributivo previsto dal contratto collettivo applicabile all’appaltatore e dal connesso minore imponibile contributivo. Ulteriori elementi sintomatici della fraudolenza dell’operazione sono: la situazione finanziaria non positiva dell’impresa committente; l’obiettiva impossibilità di sostenere i costi del personale necessario per svolgere l’attività produttiva; l’utilizzo, quale lavoratore somministrato, dello stesso soggetto già assunto direttamente dall’utilizzatore e poi licenziato per essere assunto dal somministratore. Sintomatico della fraudolenza può infine essere lo stretto rapporto di strumentalità che intercorre tra il ricorso alla somministrazione e il mancato superamento, da parte dell’utilizzatore, della soglia di quindici dipendenti, posto che il superamento di tale soglia comporta obblighi (e correlativi costi) aggiuntivi, per esempio in materia di licenziamento o di sicurezza sui luoghi di lavoro. Si rammenti, inoltre, che il mancato superamento della predetta soglia consente un risparmio contributivo (pari allo 0,30%): a tal proposito, la giurisprudenza è unanime nell’affermare che, ove tale risparmio sia stato effettivamente conseguito, con correlativo ingiusto danno in capo allo Stato e in particolare al sistema previdenziale, integrato dev’essere altresì ritenuto il delitto di truffa a danno dello Stato, per il quale l’art. 640, comma 2, n. 1, c.p. prevede la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da €.309,00 a €.1.549,00.

Circa i rapporti tra tale delitto e la contravvenzione di somministrazione fraudolenta, la Cassazione (n. 9758/2020) ha statuito che, se il ricorso alla somministrazione è unicamente finalizzato a eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo favorevoli al lavoratore, ciò integra esclusivamente il reato di somministrazione fraudolenta; se, invece, viene perseguita anche un’ulteriore finalità elusiva, consistente in un risparmio contributivo, ciò permette di ritenere parimenti integrati gli estremi del delitto di truffa a danno dello Stato.

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