La denuncia-querela con contestuale richiesta di sequestro preventivo

Come si evince dall’art. 336 c.p.p., la querela è l’atto con cui la persona offesa da un reato espone i fatti penalmente rilevanti che si sono verificati a suo danno e contestualmente manifesta la volontà che si proceda all’individuazione e alla punizione dei relativi responsabili.

Tale atto è necessario affinché l’autorità giudiziaria possa procedere in ordine a determinati reati, i quali non a caso sono definiti reati procedibili a querela. Trattasi di reati non gravi (quali ad esempio minaccia, percosse, lesione personale lieve, molestia o disturbo alle persone, furto semplice), che non destano un particolare allarme sociale, il che spiega come mai la punizione dei responsabili presupponga un’esplicita manifestazione di volontà in tal senso da parte dell’offeso. Qualora tale manifestazione manchi o non sia effettuata nel termine previsto dalla legge (generalmente pari a tre mesi decorrenti dalla notizia del fatto) e si tratti di reato procedibile a querela, il processo deve necessariamente concludersi con sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. (se si è nella fase dell’udienza preliminare) o con sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p. (se si è nella fase del giudizio).

Con la querela la persona offesa può anche non limitarsi alla semplice esposizione dei fatti e alla richiesta di individuarne e punirne i responsabili, ma può altresì richiedere l’applicazione di una misura cautelare nei confronti del sospettato.

A tal proposito, merita ricordare che le misure cautelari sono provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi che presuppongono, da un lato, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato e, dall’altro lato, la sussistenza di una specifica esigenza cautelare. 

Più precisamente, se si tratta di misure personali (ossia che incidono in tutto o in parte sulla libertà dell’indagato), l’art. 274 c.p.p. ne subordina l’applicabilità alla ricorrenza del pericolo di inquinamento probatorio, del pericolo di fuga o del pericolo di reiterazione del reato.

Accanto alle misure cautelari personali, il Codice di rito prevede quelle reali: trattasi del sequestro conservativo e del sequestro preventivo. Il contenuto di tali misure è il medesimo e consiste nell’apposizione di un vincolo di indisponibilità a carico di un bene: ciò che le differenzia è lo scopo cui esse tendono. Il sequestro conservativo, infatti, mira a impedire che, nelle more dell’accertamento della penale responsabilità, manchino o vengano disperse le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario, oppure le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato; il sequestro preventivo, invece, presuppone il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati.

È precisamente su quest’ultima misura cautelare, nonché sulla possibilità di richiederne l’applicazione in sede di querela, che ci si soffermerà nel presente contributo.

Come si è anticipato, il sequestro preventivo ha ad oggetto cose pertinenti al reato: secondo la giurisprudenza, tale nozione è più ampia di quella di corpo del reato e comprende tutti i beni che siano caratterizzati «da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso» (Cass. n. 5845/2017). 

Tali beni sono sequestrabili qualora risulti che essi, ove lasciati nella libera disponibilità dell’indagato, possano costituire un incentivo ad aggravare o protrarre le conseguenze del reato o a commettere ulteriori reati: sussistendo tale presupposto, il sequestro dev’essere obbligatoriamente disposto; se, invece, manca questo periculum in mora, ma cionondimeno viene in considerazione un bene di cui è consentita la confisca, il giudice può, se lo ritiene opportuno, disporne comunque il sequestro.

L’applicazione di tale misura cautelare è richiesta dal Pubblico Ministero al giudice che procede: se, pertanto, non è ancora stata esercitata l’azione penale (e dunque le indagini sono ancora in corso), la richiesta dev’essere rivolta al giudice per le indagini preliminari.

Come si vede, la disciplina normativa di cui sopra (condensata nell’art. 321 c.p.p.) non riconosce una specifica legittimazione alla persona offesa, la quale, tuttavia, ben potrà sollecitare (già in sede di presentazione della querela) il Pubblico Ministero a rivolgere al giudice la richiesta de qua.

Si consideri, infine, che vi è un’ipotesi in cui la misura cautelare in parola può essere disposta non dal giudice, ma direttamente dal Pubblico Ministero o, addirittura, dalla polizia giudiziaria. Ciò può accadere, ai sensi dell’art. 321, c. 3-bis, c.p.p., quando si versi in una situazione di urgenza tale da impedire di attendere il provvedimento del giudice, che, anche ove fosse emesso, rischierebbe di risultare intempestivo. In altri termini, deve trattarsi di una situazione in cui appaia imminente l’utilizzo, da parte dell’indagato, di una cosa pertinente al reato per compiere uno di quegli atti che l’art. 321 c.p.p. mira proprio a scongiurare.

In una simile evenienza, dunque, il Pubblico Ministero dispone il sequestro preventivo con decreto motivato, ferma restando la necessità di una convalida da parte del giudice nelle quarantotto ore successive; qualora, invece, il sequestro sia stato disposto dalla polizia giudiziaria, questa dovrà trasmettere il relativo verbale entro quarantotto ore al Pubblico Ministero, il quale, se non ritiene di disporre la restituzione di quanto in sequestro, nelle successive quarantotto ore dovrà richiedere la convalida al giudice. 

L’ordinanza di convalida dovrà essere emessa da quest’ultimo entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta del Pubblico Ministero: in mancanza, il sequestro perde efficacia.

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