L’actio interrogatoria

Alla morte di un soggetto, tutto il suo patrimonio (inteso come l’insieme dei rapporti giuridici attivi e passivi a lui facenti capo) si trasmette agli eredi, designati dallo stesso de cuius tramite testamento o, in mancanza di questo, individuati direttamente dalla legge.

L’acquisto dell’eredità, tuttavia, non avviene in maniera automatica, essendo necessario che i chiamati all’eredità la accettino. Non sempre, infatti, il subentro nel patrimonio del de cuius comporta vantaggi per gli eredi, ben potendo accadere che esso sia costituito in gran parte da debiti: proprio al fine di evitare che, in casi siffatti, i chiamati debbano necessariamente farsi carico dei debiti del defunto, la legge prevede che essi possano rifiutare l’eredità.

Da quanto detto consegue che, alla morte di un soggetto, si apre un periodo di incertezza che perdura fintantoché i chiamati all’eredità non abbiano optato per l’accettazione o per la rinuncia. Ai sensi dell’art. 480 c.c., «il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni» dal giorno dell’apertura della successione: come si vede, dunque, il periodo di incertezza di cui si è detto può protrarsi anche per un periodo di tempo significativamente lungo.

Ciò va evidentemente a detrimento di coloro che, alla data della morte, intrattenevano con il de cuius rapporti giuridici di natura patrimoniale non ancora esauriti. Si pensi ai creditori del defunto: venuto meno il loro debitore e in assenza di una tempestiva accettazione da parte di almeno uno dei chiamati, essi vengono incolpevolmente a trovarsi in uno stato di pregiudizievole incertezza, non avendo a chi rivolgersi per soddisfare le proprie ragioni.

Al fine di evitare simili esiti, l’art. 481 c.c. consente a qualunque interessato di adire l’autorità giudiziaria affinché questa fissi un termine – ovviamente inferiore ai dieci anni di cui all’art. 480 c.c. – entro cui i chiamati all’eredità devono dichiarare se la accettano o vi rinunziano; se tale termine viene fatto scadere inutilmente (ossia senza che intervenga accettazione né rinuncia), il chiamato perde il diritto di accettare.

Testualmente, l’art. 481 recita che “Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare”.

Attraverso tale rimedio, chiamato actio interrogatoria, si consente pertanto agli interessati di ovviare agli effetti pregiudizievoli che deriverebbero in capo a loro dal perdurare della situazione di incertezza di cui si è detto.

Tali interessati sono, in primis, i creditori del de cuius, che hanno necessità di individuare un soggetto da escutere per soddisfare le proprie ragioni. La categoria dei creditori, tuttavia, non esaurisce il novero degli interessati. Si pensi al caso in cui il de cuius fosse comproprietario di un immobile in procinto di essere venduto: alla sua morte, gli altri comproprietari, qualora intendano procedere alla vendita, hanno evidentemente bisogno di conoscere le determinazioni del chiamato all’eredità; se quest’ultimo rimane inerte, dunque, essi possono esperire l’actio interrogatoria.

La natura del termine fissato dal giudice è quella di un termine di decadenza e l’inutile decorso del termine viene interpretato quale rinuncia all’eredità.

Legittimati a proporre l’azione sono i chiamati ulteriori, cioè coloro che potrebbero succedere se il primo chiamato non accettasse l’eredità, o, in subordine, i legatari, i creditori dell’eredità e quelli personali del primo chiamato, l’esecutore testamentario e il curatore dell’eredità giacente mentre i legittimati passivi sono tutti i chiamati all’eredità compresi gli incapaci e le persone giuridiche.

L’azione si può esperire contro qualsiasi chiamato, anche se incapace.

La ratio della norma è quella di garantire la certezza dei traffici giuridici.

Si segnala in tema una pronuncia della Corte Suprema (Cassazione civile, Sez. VI-2, ordinanza n. 22195 del 20 ottobre 2014) che ha statuito il seguente principio: “In tema di successione a causa di morte, la perdita del diritto di accettare l’eredità ex art. 481 cod. civ. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all’eredità per testamento, con la conseguenza che la devoluzione testamentaria diviene inefficace e si apre esclusivamente la successione legittima, ai sensi dell’art. 457 cod. civ., senza che si verifichi la coesistenza tra successione testamentaria e successione legittima”.

E ancora, circa la natura del termine entro cui accettare o meno assegnato da Giudice si evidenza la seguente pronuncia ((Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 4849 del 26 marzo 2012): “In tema di successioni per causa di morte, il termine fissato dal giudice, ai sensi dell’art. 481 c.c., entro il quale il chiamato deve dichiarare la propria eventuale accettazione dell’eredità, anche con inventario, è un termine di decadenza, essendo finalizzato a far cessare lo stato di incertezza che caratterizza l’eredità fino all’accettazione del chiamato. Ne consegue che dal decorso di detto termine, in assenza della dichiarazione, discende la perdita del diritto di accettare, rimanendo preclusa ogni proroga di esso, senza che rilevi in senso contrario la possibilità di dilazione consentita dall’art. 488, secondo comma, c.c. unicamente per la redazione dell’inventario.”

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