Diffamazione a mezzo stampa

L’art. 595 c.p. punisce il reato di diffamazione: trattasi del reato commesso da chi, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. Il bene giuridico tutelato va individuato nell’onore dei singoli consociati: infatti, come ha riconosciuto la Cassazione, ciascuno è titolare di un onore minimo che costituisce «limite invalicabile […] a tutela della dignità umana». La previsione di tale reato, dunque, è volta a presidiare quel nucleo di diritti che l’art. 2 Cost. definisce come inviolabili e che concorrono a dare contenuto alla dignità di ciascuno.

Il terzo comma dell’art. 595 c.p. prevede un aggravio di pena per i casi in cui il reato in parola sia stato commesso col mezzo della stampa. Ai sensi dell’art. 1 l. 47/48, rientrano nella definizione di stampa «tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione». Come si vede, tale norma, che risale al 1948, non considera alcuni mezzi espressivi che la coscienza contemporanea riconduce pacificamente nel concetto di stampa: a ciò ha comunque ovviato la giurisprudenza di legittimità, che ha fornito un’interpretazione estensiva e in chiave evolutiva della nozione di stampa, in cui si sono fatte rientrare, per esempio, anche le testate giornalistiche online

Come è facilmente intuibile, la punizione delle condotte di diffamazione a mezzo stampa, che è funzionale ad assicurare la garanzia dei diritti di cui all’art. 2 Cost., può entrare in tensione con altri diritti costituzionalmente tutelati e, in particolare, con il diritto di cronaca e di critica (art. 21 Cost.): ciò spiega come mai l’esercizio di tali diritti scrimini, ossia renda lecite, le condotte descritte dall’art. 595, c. 3, c.p.

Affinché si produca tale effetto scriminante, tuttavia, è necessario che la condotta del soggetto agente rispetti alcuni requisiti che sono stati nel tempo enucleati dalla giurisprudenza.

Con riferimento al diritto di cronaca, trattasi della verità dei fatti, dell’interesse pubblico alla loro diffusione e della continenza delle espressioni utilizzate.

La giurisprudenza interpreta in maniera stringente il requisito della verità, richiedendo la rigorosa corrispondenza tra il narrato e l’oggettivamente accaduto. Ciò, tuttavia, non significa che qualunque notizia falsa diffusa dal giornalista sia sufficiente a integrare la sua penale responsabilità: se, infatti, egli ha controllato la notizia in maniera diligente e puntuale, in modo da ragionevolmente superare ogni dubbio in ordine alla sua verità, ciò lo manda esente da responsabilità. Ulteriore temperamento del rigore di cui si è detto è rappresentato dall’irrilevanza di marginali inesattezze che, non essendo tali da modificare il fatto narrato nella sua struttura essenziale, non escludono la ricorrenza del requisito della verità.

Il secondo limite all’esercizio del diritto di cronaca è costituito dalla pertinenza, ossia dalla rilevanza pubblicistica del fatto riportato. La Cassazione è costante nel distinguere l’interesse pubblico alla conoscenza di fatti di rilievo sociale e l’interesse, dettato da mera curiosità, alla diffusione di vicende private: la curiosità, infatti, non è idonea a integrare il requisito della pertinenza. Il confine tra i due concetti, tuttavia, appare notevolmente sfumato qualora vengano in considerazione vicende personali relative a personaggi pubblici, ai quali, proprio in considerazione del loro ruolo, viene riconosciuto un più attenuato ambito di protezione della sfera privata. A loro, dunque, si richiede di tollerare ingerenze che per altri soggetti sarebbero illegittime.

Terzo e ultimo limite è rappresentato dalla continenza, ossia dalla moderazione espressiva con cui dev’essere riportata la notizia pregiudizievole per l’altrui reputazione. Più precisamente, si richiede l’utilizzo di un registro proporzionato «all’esigenza di evidenziare la gravità dell’accaduto»: non sono quindi consentiti gratuiti attacchi personali che appaiano come unicamente diretti a intaccare la levatura morale del soggetto interessato.

I tre requisiti di cui si è detto devono altresì connotare l’esercizio del diritto di critica: solo in questo modo, infatti, si può riconoscere a esso un’efficacia scriminante. Con riferimento al limite della verità dei fatti esposti, peraltro, esso risulta in quest’ambito temperato: la critica, infatti, diversamente dalla cronaca, non si fonda su fatti oggettivi, bensì su giudizi di valore e opinioni, il che giustifica il minor rigore con cui viene in tale contesto verificato il rispetto del limite in parola, fermo restando che non sono tollerate ricostruzioni volontariamente distorte della realtà.

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