Dietrofront della cassazione: indeducibili i costi di pubblicità considerati eccessivi 

 

E’ non inerente, e quindi indeducibile, la spesa di pubblicità di ammontare abnorme rispetto agli interessi ed alle dimensioni dell’impresa. Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza 28 gennaio 2022 n. 2597.

Il caso esaminato ha riguardato la contestazione di una spesa di pubblicità ritenuta non congrua nel relativo ammontare e, come tale, ammessa in deduzione soltanto in parte in capo alla società accertata. Nello specifico, un soggetto titolare di un’attività artistica, pittore e incisore, si era contrattualmente impegnato a mettere a disposizione della società degli spazi pubblicitari, e ad inserire il logo della stessa in volantini, locandine, cartoline e brochure relativi a manifestazioni artistiche a cui avrebbe partecipato in occasione di fiere, mostre personali di pittura sul territorio nazionale ed internazionale. A fronte di quanto sopra, l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione l’importo delle spese in esame, in quanto considerate eccessive rispetto al volume d’affari della società.  La Corte di Cassazione, dopo avere preliminarmente osservato che il principio di inerenza non trova legittimazione nell’articolo 109, comma 5, del TUIR (trattandosi di un principio posto a fondamento del reddito d’impresa che non richiede un giudizio in termini di ricavi conseguiti), ha evidenziato che, a prescindere dal concetto di impresa, in ambito fiscale non può essere negata l’esigenza di dover applicare le buone regole di gestione dell’attività (e quindi un giudizio sulla congruità delle spese), principio che contrasta con il sostenimento di spese svantaggiose, incongrue e sproporzionate, che, come tali,  conducono alla mala gestione dell’impresa fino alla sua cessazione.  Inoltre, secondo la Suprema Corte, il concetto di inerenza richiede sempre la necessità di provare l’utilità del servizio remunerato. 

Coerentemente con quanto sopra, nel caso in esame, i costi di pubblicità sono stati considerati non inerenti sia sotto il profilo della relativa congruità (in quanto di importo pari a € 210.000, corrispondente al 39% dei ricavi indicati dalla società nel bilancio, poi chiuso in perdita) sia con riguardo all’effettiva utilità rispetto all’attività commerciale esercitata dalla società.  

L’interpretazione fornita dalla Cassazione smentisce i recenti orientamenti in cui, esattamente al contrario, è stata riconosciuta la necessità di verificare il soddisfacimento del principio di inerenza sotto il profilo qualitativo (e non quantitativo) dei costi (tra le tante: Cass. 1290/2020; 450/2018; Cass. 6320/2016). Stante il cambio di vedute, sarà quindi interessante verificare se l’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento troverà ulteriori conferme.  

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