Appello penale e rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale

L’appello penale non costituisce un nuovo giudizio circa la responsabilità dell’imputato, ma si pone quale strumento di controllo della sentenza di primo grado. 

Da tale natura del giudizio di appello discendono due importanti conseguenze: da un lato, le risultanze probatorie del giudizio di primo grado hanno ingresso in quello di secondo grado e costituiscono il patrimonio di conoscenza su cui il giudice di appello fonda la propria decisione; dall’altro lato, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, finalizzata all’assunzione di nuove prove o di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ha carattere eccezionale ed è consentita nei soli casi previsti dall’art. 603 c.p.p.

Ai sensi di tale norma, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale può essere disposta sia su richiesta di parte, sia d’ufficio dal giudice.

La prima ipotesi si verifica quando l’appellante, nell’atto di appello o nei motivi nuovi di cui all’art. 585, c. 4, c.p.p., espressamente richiede la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado (per esempio richiede di esaminare un testimone già sentito in primo grado) o di prove nuove, per tali intendendosi quelle prove (per esempio documenti) già esistenti e note all’interessato nel giudizio di primo grado, ma non acquisite in quella sede. Il fatto che una simile richiesta abbia ad oggetto prove già acquisite o che si sarebbero potute acquisire in primo grado spiega come mai la loro (ri)assunzione sia ammessa entro limiti piuttosto stringenti: il giudice, infatti, vi può consentire solo laddove ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, ossia solo laddove consideri il compendio probatorio formatosi in primo grado insufficiente a consentirgli di pronunciarsi in ordine alla penale responsabilità dell’imputato. In altri termini, l’incombente richiesto dev’essere decisivo, nel senso che deve poter eliminare ogni residua incertezza o, addirittura, essere tale da inficiare ogni eventuale risultanza di segno contrario.

Limiti ben più ampi sono invece previsti qualora la richiesta di rinnovazione proveniente da una delle parti abbia ad oggetto prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. Dal momento che trattasi, in questo caso, di prove che non potevano essere acquisite nel primo giudizio, in quanto all’epoca inesistenti o ignorate, l’art. 603, c. 2, c.p.p. ne consente l’assunzione entro gli stessi limiti dettati dall’art. 495 c.p.p. per il dibattimento di primo grado: ne consegue pertanto che in tali casi la rinnovazione dell’istruttoria deve sempre essere disposta, salvo solo il caso di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti (così dispone l’art. 190 c.p.p., cui l’art. 495 c.p.p. espressamente rinvia).

Come si anticipava, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale può anche essere disposta d’ufficio dal giudice d’appello: ciò accade quando quest’ultimo la ritenga assolutamente necessaria per l’accertamento del fatto, perché il materiale conoscitivo disponibile è incerto o incompleto e non gli consente di pervenire a una decisione fondata su un patrimonio di conoscenze ragionevolmente solido. 

Alla rinnovazione dell’istruttoria si procede d’ufficio, se il giudice lo ritiene necessario, anche qualora in primo grado si sia erroneamente dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita: anche in questo caso, dunque, il giudice d’appello che riconosca come erronea tale dichiarazione può ordinare la rinnovazione del dibattimento così da acquisire i dati necessari a decidere nel merito. 

Nel 2017 il legislatore ha introdotto una nuova ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Ai sensi dell’art. 603, c. 3-bis, c.p.p., infatti, «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale». 

Il caso disciplinato dalla norma è il seguente: in primo grado il giudice è pervenuto a una decisione assolutoria, che viene appellata dall’organo dell’accusa il quale evidenzia l’erronea valutazione che il giudice di primo grado ha fatto di una testimonianza che, se fosse stata correttamente valutata, avrebbe condotto a una decisione di condanna. Si pensi, per esempio, al caso in cui il giudice di primo grado abbia ritenuto inattendibile un testimone dell’accusa e non abbia pertanto posto la sua deposizione a fondamento della decisione.

È evidente che, in un caso siffatto, qualora il giudice d’appello condividesse le argomentazioni del pubblico ministero e, dunque, valutasse come attendibile la suddetta prova dichiarativa, egli riformerebbe la decisione di primo grado ed emetterebbe una pronuncia di condanna. Ebbene, con la norma sopra richiamata il legislatore impone che a un simile esito possa pervenirsi solo a condizione che si proceda a un nuovo esame del testimone dell’accusa: si vuole evitare, in altri termini, che la valutazione dell’attendibilità del testimone venga effettuata mediante la mera rilettura delle sue parole verbalizzate, dal momento che una simile attività non consente di vagliare la credibilità del teste tanto quanto lo consente l’ascolto personale e diretto del medesimo.

In tal modo viene altresì rafforzato il diritto al contraddittorio dell’imputato, che potrà procedere all’escussione diretta del testimone a carico ed eventualmente a un confronto con lo stesso, il tutto alla presenza del giudice investito del potere di pronunciarsi sulla sua penale responsabilità. 

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